La Virtus è un quadro e Lundberg il protagonista: bianconeri secondi alla fine del girone d'andata
Chi se lo sarebbe mai aspettato? Chi avrebbe mai anche solo sognato un risultato del genere? La verità? Nessuno. La Virtus chiude il girone d’andata del campionato di Eurolega al secondo posto e nessuno sarebbe mai anche solo arrivato a concepire un traguardo del genere.
La stagione di Bologna, almeno fino a questo momento, è un quadro, per di più nemmeno dell’artista più banale in circolazione. L’immagine è vivida, chiara, colorata e rappresenta un paesaggio soleggiato, all’interno del quale si muovono una quindicina di individui sorridenti, i quali, mano nella mano, sono quasi a metà di un sentiero che si augurano possa durare per sempre. Lo spettacolo felsineo sta coinvolgendo tutta Europa: il Vecchio Continente è attonito di fronte ad una pallacanestro funzionale, godibile, che porta a risultati straordinari, e ne parla continuamente.
La vittima scarificale, questa volta, si chiama Partizan Belgrado. La formazione di Obradovic cade davanti a ventimila propri tifosi, all’interno del proprio fortino, alla Stark Arena, e lo fa inchinandosi ad una squadra che domina l’incontro e non lascia ai propri avversari nemmeno una possibilità di allungare il muso in avanti, neanche per un minutino. L’atteggiamento della Virtus è, fin da subito, quello giusto, tuttavia, a differenza di quanto accaduto in altre occasioni, questa volta non si limita al primo quarto o, più in generale, al primo tempo, bensì viene replicato al rientro dall’intervallo lungo e per tutta la durata del match. I padroni di casa devono cedere una grande aggressività difensiva degli emiliani, i quali hanno l’obbiettivo di disturbare qualsiasi fase di costruzione serba, senza lasciar respirare chi il pallone lo tocca più spesso, come Dozier Jr., Punter e Nunnally. I grobari risentono delle assenze forzate di Avramovic e Smailagic, in particolare quella del playmaker, assoluto padrone della cabina di regia, ma soprattutto più ordinato, preciso, tagliente ed esperto nel servire i compagni rispetto a Dozier Jr., rookie di Eurolega ed improntato ad un basket diverso.
I bianconeri di Belgrado provano in tutti i modi a non fornire punti di riferimento agli avversari, spaziano, come spesso accade, bene il campo, svuotano l’area portando Caboclo sul perimetro, ma vengono aggrediti dalla Vu nera, che riesce a rubare o sporcare palloni con frequenza. Le sfere recuperate dai giocatori ospiti innescano transizioni, non sempre finalizzate al meglio, ma comunque preziose per non dover sempre attaccare a difesa schierata.
Quando è la Virtus in fase offensiva, gli angoli sono sempre occupati da un’individualità felsinea, il pitturato è riempito, a turno, da Dunston o Cacok e l’impostazione del gioco è affidata a quattro mani. Il pallone circola sul perimetro, il Partizan corre. Il pallone viene lasciato ai lunghi, per poi essere ribaltato oltre la linea dei tre punti, il Partizan corre. Il pallone è nelle mani di un singolo, il quale sceglie di prendersi un’iniziativa personale, il Partizan lo rincorre. “Se tu hai la palla, gli altri corrono”, si dice nel calcio, mentre nella pallacanestro potemmo affermare: “Se la sfera va più veloce delle gambe degli avversari, qualche buco, prima o poi, lo trovi”. Accade questo ad una Segafredo costruttiva, propositiva e precisa, perché, alla fine, quando riceve il tiratore, bisogna che la retina si muova.
Il talento nel trovare il compagno più libero di Dunston e Shengelia permette, quindi, alla Vu nera di avere sul campo contemporaneamente almeno due cabine di regia, una sul perimetro ed una sotto le plance, costringendo gli avversari ad aprirsi nella propria metà campo per accoppiarsi con ogni giocatore emiliano. Seppur con compiti e doti differenti dai due compagni di ruolo, anche Cacok riesce a dare il suo contributo, facendosi forza grazie alla grande esplosività di cui dispone: il numero 15 è in grande crescita e può tornare sempre utile, in entrata dalla panchina, a Luca Banchi, il quale ha tutto il piacere del mondo nel cavalcarlo e farlo entrare in partita. Nel roster bolognese non ci sono i lunghi adatti? Eccome se ci sono, magari il futuro riserverà qualche sorpresa, oppure ci si dovrà accontentare di un preciso Abass da quattro tattico e di un Polonara al quale va dato ancora tempo per riprendere il ritmo gara. La Segafredo non ha il proprio go to guy? Sarebbe bello scoprire, allora, cos’è Gabriel Iffe Lundberg. Il danese vince l’incontro con due tiri liberi, una penetrazione “da Louvre” e, ancor prima, con una serie di canestri da tre o in avvicinamento che ne dimostrano a pieno le qualità; dopo un periodo difficile, tanti dubbi e, forse, un po’ d’astio nei confronti della vita e di qualche membro della sua prima Virtus, ecco il riscatto.
La verità, arrivati a questo punto, è che tutti i singoli a disposizione di coach Banchi dovrebbero essere citati, poiché ogni membro della rosa felsinea è coinvolto e non c’è una sola individualità incapace di rendersi protagonista di un match. Tutti sono tutto, il gruppo vola ed il basket è corale. Cosa volere di più, se arrivano anche i risultati?